Giuseppe Tartini - Lettere e documenti / Pisma in dokumenti / Letters and Documents - Volume / Knjiga / Volume I
248 robusta sì, ch’io possa infin l dove scorre lambendo il favoloso Idalpe, e per l’ardente Libia, e per l’ondoso ultimo mare, e sin sovra le stelle del Neutono recar la patria e il nome. Per non dissimili ragioni, per non rompere cioè l’unit che è pur l’anima delle cose, io levai da un’altra Epistola, che trover qui ingiunta, i seguenti versi. Ella mi d animo a mandargliele, credendo come fa, meas esse aliquid nugas 62 . Oimè qual sei da quel di pria diforme Italia mia! che neghittosa, e quasi te non tocchi il tuo mal, nell’ozio dormi tra i secchi lauri tuoi serva, e divisa. Nè l’arti belle, e gli onorati studi, onde Grecia emulasti, or più non sono Tua nobil cura, e tuo più dolce impero. Pur dal tuo seno in lagrimosi tempi surse il signor dell’altissimo canto, Petrarca surse, e sursero gli audaci Colombo e Galileo, l’uno novelli mondi in terra ne aperse e l’altro in cielo, Palladio, Raffaello, ed altri cento a te fabbri d’onore, e tu pur desti sulla Senna, sull’Istro, e sull’Ibero a quei popoli re ministri e duci. Bollono di virtù gli occulti semi, e il poetico suolo ancora il veggio lussureggiare è ver, d’erbe e di piante; Ma idonea cura, e buon cultor ne manca che sterpi il loglio, e il frondeggiar corregga dei folti rami, e per difetti d’olmo vedove giaccion molte viti a terra, che lieti renderiano, alto poggiando, di vendemmia, spumosa i tini, e l’anno: e quel, che ne rimane unico erede dell’Italica Lira, Apollo il lascia dell’Istro l sul margine ventoso 62 “namque tu solebas / meas esse aliquid putare nugas” Catullo, Carmi, 1, 4. Cfr. BSGRT.
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